domenica 26 aprile 2015

Figli anche miei...

Carissime, sapete che ci sono cose che non posso fare a meno di condividere, perché mi toccano così profondamente che non posso tenerle per me... quindi oggi vi racconto un'altra storia vera. Una storia che mi tiene sveglia la notte, e mi fa guardare i miei figli sentendo un retrogusto amaro nel dolce del mio amore per loro.
Sapete tutte degli sbarchi di migranti avvenuti sulle coste siciliane. In questi giorni se ne parla tanto, dopo la nuova enorme tragedia che ha causato la morte di centinaia di persone. Forse non sapete che la maggior parte di queste persone non ha intenzione di fermarsi in Italia, ma cerca di raggiungere parenti in altri paesi europei. Cercano di non farsi identificare perché sono obbligati, dalla convenzione di Dublino, a chiedere asilo politico nel primo paese che li accoglie, e poi non possono più uscirne. Dopo essere approdate in Sicilia, transitano a Roma prima di ripartire alla volta dell'Europa del Nord, ed è qui che ne ho incontrato un gruppo. Sono stati accolti per 2 notti in un centro che ospita proprio migranti di passaggio e sapendo che erano arrivati, siamo andati a trovarli (molte di voi sanno che faccio volontariato in ambito sociale) portando qualcosa da mangiare e da bere.
Ed ora immaginate un grande stanzone vuoto, con solo cartoni a terra, in cui giacciono stremate circa 200 persone. Quando si alzano e ci vengono vicino, ci accorgiamo che sono ragazzi, alcuni giovani, altri proprio bambini. Età media 16 anni. Come mio figlio. Tanti di 12/13 anni. Come mia figlia. Qualche donna incinta, qualche neonato. Uomini pochi, tutti giovani. Con l'aiuto dell'interprete, ci raccontano viaggi pazzeschi attraverso il deserto, guardando i cadaveri di chi prima di loro ha provato a scappare. Ci raccontano le ore passate stipati prima in un pick-up e poi su un gommone, i maltrattamenti subiti, la paura ed il dolore per aver lasciato una famiglia che spesso ha venduto tutto per poterli salvare. Alcuni, dopo 2 giorni dall'arrivo in Italia, ancora non riescono a muovere bene braccia e gambe per l'atrofia e l'inedia. Alcuni hanno la febbre, tutti hanno fame e sono disidratati.
Quando iniziamo la distribuzione di ciò che abbiamo portato, riso e lenticchie, si dispongono in una fila ordinata facendo passare avanti chi è più debole.
Hanno uno sguardo pieno di dolore, non riusciamo a volte a sostenerlo. Guardo loro e penso allo sguardo limpido dei miei figli, a che differenza abissale c'è tra queste vite e le loro.
Una di noi volontarie si accorge che uno di questi ragazzi è spaventato e vergognoso, e per fargli coraggio lo abbraccia. E' un attimo: dalla fila per il cibo in moltissimi escono e si mettono in fila per farsi abbracciare. L'affetto gli serve quanto il nutrimento, forse di più. Sono bambini in fondo, e ne hanno passate troppe per la loro età. Piangiamo con loro, per l'ingiustizia di un mondo che non sa amare e proteggere i suoi figli.
Ora che vi scrivo, molti sono già partiti, continuando un viaggio ignoto che li porterà, forse, alla vita.
Sono passati a Roma per pochissimo, nel mio cuore per sempre.
Giada

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Manzara

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